Per vie comode ed agevoli, ma anche decisamente traverse, ho avuto la possibilità in questi giorni di aggirarmi sola e indisturbata nell’archivio storico di una vecchia scuola elementare. L’oggetto della ricerca erano i registri di fine Ottocento, su cui scovare informazioni riguardo quella bisnonna trovatella che mi tormenta ormai da tempo con la sua storia. Ne ho poi approfittato per cercare gli altri ascendenti che frequentarono le stesse scuole, scoprendo l’esistenza di fratelli del bisnonno di cui si era persa la memoria. Inoltre, essendo in questa situazione la classica immanicata italiana che tutto può senza fare richiesta alcuna, ho persino avuto modo di portare a casa alcuni registri, spulciarli a fondo e fotografarli con agio. Ne è uscito uno spaccato di storia sociale davvero interessante…
Il fascino dell’archivio (un’auletta con quattro imponenti armadi ed un tavolo al centro) è tutto nelle pagine dei registri, impolverati e ingialliti, che sfoglio munita di guanti in lattice e di grande cautela… Il registro scolastico un tempo era formato da grandi fogli legati insieme, senza copertina e di dimensioni superiori agli attuali quaderni, che iniziarono a comparire più tardi, in epoca fascista. L’emozione nell’aprire pagine rimaste chiuse per oltre un secolo è indescrivibile. Colpisce la grafia degli insegnanti – con gli antichi e misteriosi “svolazzi”, molto curata nella compilazione di nomi e dati degli alunni, più “emotiva” nelle annotazioni a margine. Incantata continuo a sfogliare e piano piano mi addentro tra le polverose pieghe di una Storia fatta, questa volta, da tanti piccoli protagonisti…
A fine Ottocento la scuola era una realtà non solo nelle grandi città del Regno d’Italia, ma anche nei piccoli comuni. Le classi erano molto numerose, soprattutto quelle maschili: l’istruzione delle bambine doveva essere considerata ancora superflua, visto che le classi femminili comprendevano in media una sessantina di alunne, mentre quelle maschili potevano contarne addirittura cento. Non so immaginare come quei poveri maestri potessero mantenere la disciplina e allo stesso tempo riuscire ad insegnare qualcosa in simili condizioni… io con trenta alunni faccio davvero fatica, se non a farmi rispettare, di sicuro a dedicare la giusta attenzione ad ognuno.
Le materie d’insegnamento non vertevano solo sui tre capisaldi di una volta: leggere, scrivere e far di conto; c’erano anche le discipline di studio: storia, geografia e, in pieno clima di Positivismo, scienze fisiche e naturali. La legge allora in vigore era la “Legge Coppino” (1877), emanata durante il governo della Sinistra Storica, che mirava a costruire una scuola laica e in grado di formare dei cittadini: venne introdotta per la prima volta la cosiddetta “educazione civica” e non c’era posto per il catechismo e la storia sacra, previste, invece, dalla precedente “Legge Casati” (1859).
La “Legge Coppino” si proponeva inoltre di combattere l’analfabetismo, prolungando l’obbligo scolastico fino alla terza elementare e prevedendo delle sanzioni per chi non adempiva. A dispetto delle buone intenzioni dei legislatori e dell’alto numero di alunni, dal frontespizio dei registri si evince che solo in pochi arrivavano con successo alla fine dell’anno: dei settantanove iscritti nella terza elementare del mio bisnonno Natale passarono alla classe successiva in diciotto (e il nonno non era tra questi). Più alto era l’esito positivo in quarta, classe non obbligatoria che frequentavano solo i più motivati: nell’A.S. 1894-95 di ventitré alunne ne vennero promosse quindici.
Registro scolastico di fine Ottocento
Registro scolastico di inizio Novecento
Tra questi molti erano i bambini che portavano a termine l’anno scolastico ma non si presentavano agli esami finali, oppure quelli che venivano “fermati” agli esami di febbraio. Era sicuramente una scuola selettiva – forse troppo – e più seria e rispettata di quella attuale. Tutte queste perdite, però, sono legate soprattutto al fenomeno dell’abbandono scolastico, che, nonostante la legge, era ancora molto alto.
Dalle annotazioni degli insegnanti si apprende che le bambine abbandonavano la scuola soprattutto per essere mandate «in uno dei setifici», qualcuna per «fare la fattorina in una casa privata», mentre i maschi abbandonavano apparentemente senza motivo. La mia bisnonna Natalina, già in quarta, «abbandonò le lezioni, perché accomodava ai parenti di tenersela a casa, come accadeva per le assenze»; mentre una sua compagna «si assentò per accudire alle faccende domestiche». Tuttavia la mia bisnonna, forse desiderosa di imparare o di ottenere una qualifica migliore, si riscrisse l’anno successivo e la sua media risultò la più alta della classe, tanto che, come tutte le alunne con una media superiore al sette, venne esonerata dagli esami finali. Un’altra bambina invece «non avendo voglia di studiare i suoi genitori pensarono bene di tenersela a casa». Non so come interpretare le diverse annotazioni, se critiche nei confronti di chi preferiva tenere a casa i figli, o di assenso quando si trattava di bambini poco diligenti o «di carattere insolente». Magari erano solo informazioni che i maestri dovevano trascrivere qualora ne fossero in possesso.
A.S. 1895-96: scheda di quarta elementare della bisnonna Natalina (gli insegnamenti sono qui trascritti solo sulla parte relativa agli esami).
Pensando alla miseria diffusa e leggendo tra le righe, viene il sospetto che l’abbandono fosse dovuto a cause economiche, magari nascoste dietro motivazioni “originali” come quelle addotte dal piccolo Giulio, che nell’A.S. 1893-94 «abbandonò la scuola perché non volle acquistare le carte geografiche dicendo che lo studio della geografia è affatto inutile»… Di sicuro non doveva essere facile allora parlare con i genitori, far loro capire l’importanza di imparare a leggere e scrivere; come d’altra parte non è facile oggi far acquistare un libro di narrativa al prezzo di ben dieci euro. All’epoca i soldi per i libri mancavano davvero, come oggi non mancano quelli per videogiochi, i-phone, abiti firmati…
Il maestro, che poteva intuire la situazione, trascrisse la motivazione che gli aveva dato il bambino: erano anni in cui gli ispettori scolastici giravano per le scuole ed era opportuno che il registro fosse a posto. Per la verità non so come quegli ispettori potessero accettare un simile numero di abbandoni, considerando la legge in vigore. Forse erano a conoscenza delle difficoltà delle famiglie di contadini, ai quali un aiuto in più a casa e nei campi faceva comodo; o forse erano già i burocrati di oggi, biechi esecutori di mansioni che svolgevano senza porsi scomode domande… Tre anni fa avevo un’alunna cinese intelligente e motivata, che i genitori tenevano a casa per farla lavorare nel ristorante di famiglia; la situazione era nota a tutti e la ragazza non aveva compiuto i sedici anni richiesti per assolvere l’obbligo, ma il preside non fece nulla per convincere i genitori a far studiare la ragazza, né denunciò la situazione alle autorità… La dispersione scolastica, come oggi viene chiamata con un bell’eufemismo, è ancora attuale, soprattutto tra le famiglie più svantaggiate, che però vengono dopo rispetto a quelle che, al contrario, possono minacciare problemi e ricorsi…
L’abbandono scolastico tra Otto e Novecento dipendeva anche da motivi di salute, tra i quali ricorre una malattia agli occhi molto diffusa, che colpì anche Michele, il fratello più piccolo del bisnonno Natale. Credo si trattasse di qualche infezione, forse dovuta alle scarse condizioni igieniche in cui le famiglie erano costrette a vivere.
Infine, ed anche questo dimostra quanto fosse difficile la vita, alcuni bambini non finivano la scuola perché morivano. Forse si era abituati alla mortalità infantile, o forse a certe cose non ci si abitua mai… In questi casi sul registro si scriveva semplicemente «morto» o «morì»; una maestra cercò di “mitigare” scrivendo che l’alunna «mancò di vita», mentre un maestro usò l’espressione «passato a miglior vita», che forse non piacque al direttore e venne poi cancellata con un grosso pastello viola per essere corretta in «morto».
Cercando notizie su altri parenti, ho visionato anche i registri dei primi anni del Novecento, quand’era ormai in vigore la “Legge Orlando” (1904). Sebbene l’obbligo fosse stato prolungato al compimento del dodicesimo anno di età, l’abbandono continuò a imperversare. La mia bisnonna Carolina, che in prima elementare fu promossa con la media dell’otto, in terza si iscrisse, si ammalò all’inizio dell’anno e non frequentò più. Probabilmente, cercando nei registri degli anni successivi, potrei ritrovarla: l’obbligo fino a dodici anni prevede solo che fino a dodici anni si frequenti la scuola, indipendentemente dai risultati… come succede oggi fino ai sedici.
A.S. 1906-07: scheda di prima elementare della bisnonna Carolina.
Andando ad ingrandire le immagini, si vede che con la nuova legge non cambiarono gli insegnamenti, che vennero suddivisi in più voci da valutare singolarmente, o mutarono il nome, come la nostra educazione civica che da “Doveri e diritti dell’uomo e del cittadino” divenne “Nozioni di istituzioni civili dello stato e di morale civile”. Forse l’unica novità erano le nozioni di igiene, inserite tra quelle di scienze fisiche e naturali: si iniziava allora ad occuparsi anche di questi aspetti e la pulizia era oggetto di valutazione insieme alla diligenza ed alla puntualità.
A.S. 1908-09: scheda di terza elementare di una probabile cugina della bisnonna.
Da insegnante di oggi non rimpiango la scuola di allora, con più di sessanta alunni per classe e le punizioni corporali. Rimpiango la serietà che una volta circondava l’istituzione scolastica e gli insegnanti, rispettati e stimati all’interno delle comunità. Mi manca la consapevolezza di svolgere un mestiere importante, di offrire un aiuto valido e prezioso ai ragazzi ed alle loro famiglie, mentre oggi rompo solo le scatole – per dirla in termini educati. Mi mancano alcune cose, insomma, ma è una nostalgia strana, fatta di cose che forse non ho mai provato…