“Buono ma fuggitivo”

“Buono ma fuggitivo” sta scritto su un foglietto attaccato con una molletta per i panni alla sua gabbia. Non è una reggia e anche se lo fosse poco cambierebbe: a chi piace stare chiuso in gabbia? Tuttavia è piuttosto alta, e larga abbastanza da contenere due cucce, una morbida e una rigida, la lettiera per i bisogni e tre ciotole allineate: per l’acqua, l’umido e il secco. Intorno varie gabbie simili ospitano gli altri neoarrivati.

Pangu guarda fuori dalla finestra e ha l’aria triste. Non volevo fargli questo, ma quando l’ho visto arrivare per l’ennesima volta ricoperto di graffi e di croste non ce l’ho fatta più: gli ho messo la pappa nel trasportino e lui, in buona fede, è entrato. Ho aspettato che finisse di mangiare prima di chiudere, poi l’ho preso e siamo andati dal veterinario, dove già ci attendevano.
L’hanno operato il giorno seguente e l’hanno poi tenuto in osservazione una notte. Venerdì mattina siamo tornati a prenderlo già consapevoli di tutto. L’operazione era andata bene, ma i test hanno dato esito positivo alla FIV e così non possiamo tenerlo. Non volevamo però lasciarlo lì, in attesa di una sistemazione “in stallo” per poi trovarne un’altra definitiva e così l’abbiamo riportato a casa. Abbiamo dovuto isolarlo per non farlo entrare in contatto con Spiro, Filli e Amarilli e così l’abbiamo sistemato nel locale più grande della cantina. Lui è andato subito a nascondersi e l’abbiamo lasciato tranquillo per un po’. Quando siamo scesi, abbiamo visto che aveva mangiato e usato la lettiera come un gatto ben educato, cosa che ci ha confermato ciò che da sempre sospettavamo: Pangu un padrone un tempo ce l’aveva, ma chissà poi cosa è successo…

Questo slideshow richiede JavaScript.

Se ne stava rannicchiato in cima all’armadio. Si lasciava coccolare come mai aveva fatto e, quando si è sentito più sicuro, è sceso e si è accomodato sulla poltrona.

20190412_192354

Pangu rannicchiato in cima all’armadio

Per due giorni è stato nostro ospite in cantina. È stato bene, ha sempre mangiato e ha fatto addirittura “la pasta” su un cagnolino di peluche… ma a volte lo trovavo che piangeva, che cercava una via di fuga.

Domenica mattina, a malincuore, eravamo pronti per un nuovo viaggio. Pangu ha bisogno di una casa, di una famiglia senza gatti o con gatti FIV+ che gli dia tantissimo amore. Al “Cat Village” di Lonate Pozzolo hanno accettato questa missione e ora Pangu è un nuovo ospite.
Stamattina siamo andati a trovarlo. Era nella stessa gabbia dove l’hanno collocato settimana scorsa. Ce l’hanno lasciata aprire chiudendo tutto intorno e il fuggitivo ha subito cercato di evadere. Quando mi sono avvicinata, ha detto “miao” e forse si è illuso che lo portassimo via. Marco dice che sta bene e infatti il pelo è già più morbido e molte croste non ci sono più, ma ha lo sguardo triste e un solo desiderio: la libertà.

Il “Cat Village” è un bel posto. È una grande casa che gatti e volontari dividono con gli Alpini e ha un bel parco intorno. A seconda che i gatti siano sani o malati, selvatici o no, ci sono diverse sistemazioni. Per i FIV+ c’è un recinto apposta, una specie di piccolo appartamento con giardino riservato, ma prima di essere sistemato lì Pangu deve finire gli esami clinici. E poi è un gatto remissivo e potrebbe rischiare di essere nuovamente preso a botte come è stato in questi mesi di vita randagia. Temo che potrà uscire dalla gabbia solo quando gli avremo finalmente trovato una famiglia. Avevo immaginato, prima di sapere che fosse malato, di riportarlo a casa e di continuare a dargli da mangiare: era un gatto libero e avrebbe deciso lui se entrare in casa oppure no.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Prima di andare l’abbiamo rimesso dentro. Si è seduto subito all’angolo che sta più vicino alla finestra, a guardare oltre le sbarre…

Questo slideshow richiede JavaScript.

Mi dispiace averti fatto questo, bel gattone tutto bianco… Quando troverai una casa e una famiglia che si prenderà cura di te con tanto amore, forse capirai…

IMG-20180714-WA0002.jpeg

PS: chi non conosce le storie di Pangu può trovarle qui e qui.

Quando viene Pangu

Quando viene Pangu apro la giornata sorridendo, se viene al mattino; se viene verso sera, sorridendo mi avvio a chiuderla. A volte viene sia al mattino sia alla sera e allora segno sul calendario quel giorno come un giorno speciale. Altre volte invece capita che non si faccia vedere per uno due persino tre giorni e inizio a preoccuparmi, come fosse figlio mio.

Pangu è il buffo diminutivo che abbiamo dato a Pangur Ban, leggendario gatto di un monaco irlandese di cui chi non conosce la storia, se ha voglia, può leggerla qui. Anche se mi sembra assurdo che si possa non conoscere questa storia, che andrebbe insegnata nelle scuole e magari l’anno prossimo ai miei alunni la racconterò.
Quando viene Pangu per prima cosa lo saluto, non solo per educazione, ma soprattutto per dirgli che l’ho visto, così non se ne andrà via subito, ma attenderà il suo pasto quotidiano. Con cautela mi avvicino, mostrandogli la bustina con la carne e la sua ciotola personale, tutta bianca come il suo manto. Non sempre riesce a mangiare nella ciotola (non è abituato) e con la zampina raccoglie il cibo con grande destrezza. Quando mangia, mi fermo con lui, perché non è bello mangiare da soli. Poi iniziano ad arrivare gli altri, i miei gatti, che lo scrutano con sospetto ma non lo disturbano: lasciano che prima finisca, si lecchi i baffi e soltanto dopo si faranno avanti per cacciarlo. Mi sembra giusto: la lotta dev’essere ad armi pari, a stomaco pieno per tutti.
Qualche volta capita che Pangu avanzi il cibo e questo mi convince sempre più della mia teoria, che non si tratti di un comune randagio, ma di un nobile caduto in disgrazia. Ho come la sensazione – e difficilmente sbaglio – che fosse il gatto di un’adorabile vecchina che ora non c’è più e, quando è mancata, nessuno ha pensato di prendersi cura del gatto che lei amava tantissimo.
Ricordo che quando lo vedevo le prime volte il suo manto era davvero più bianco del bianco come nella leggenda.

Pangu nel 2015

Ora è tutto sporco, gracilino, spelacchiato anche. I suoi occhi però sono rimasti puliti, limpidi, del colore dell’acqua e contrastano con le ferite sparse su tutta la testa, che col tempo diventano croste.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Quando lo vedo così, vorrei portarlo di corsa dalle mie meravigliose veterinarie, che oltre a curarlo gli darebbero tanto amore, ma Pangu non si lascia neanche accarezzare. Altre volte penso che non ho diritto di fargli questa violenza, di catturarlo con l’inganno e magari farlo castrare per evitargli le lotte quotidiane per le femmine.

Quando ha finito di mangiare, di solito Pangu se ne va; ma capita anche che si fermi, come in attesa di qualcosa… Non ha molta pazienza o forse non vuole elemosinare anche l’affetto oltre al cibo e senza dire niente si volta, si avvicina al muro e con un balzo ancora agile salta nel giardino confinante.
Resto a guardarlo finché è visibile, fino a quando si dilegua e poi scompare. Chissà dove vai, bel gattone tutto bianco…

L’idolo

Discendente antichissimo di antiche divinità sconosciute, l’idolo presidia la casa come un lare.

Rinvenuto insieme ad altri a lui simili, giaceva inerte nel tempo immobile dell’eternità. Ora giace altrettanto inerte sulla porta-finestra della stanza.

La forma è semplice, minimal; l’aspetto severo ma giusto. Ricorda nelle fattezze lineari le statue stele della Lunigiana, da cui – sic tradunt – trae la sua remota origine. Impossibile non notarlo, impossibile non provare un brivido di ancestrale timore. Chiunque passi si arresta un istante; poi va. Ma non lei. Lei sola sembra percepire più di tutti la forza atavica dell’idolo e si mantiene a distanza, guardinga, pronta a scattare al primo segnale di pericolo. Si avvicina, lenta, con prudenza e senza entrare in contatto diretto. Lo annusa. Poi si ritrae e disegnando una circonferenza abbastanza ampia da garantire il passaggio e l’incolumità, finalmente sgattaiola fuori…

La leggenda di Pangur Bán

Ante scriptum: prestare molta attenzione durante la lettura, altrimenti, scivolando come un gatto sulle parole evidenziate, potrebbe capitare di finire in altre storie…

Pangur Bán

La leggenda si perde nella notte dei tempi, insieme a mille altre, fino a confondersi e a infilarsi dentro il libro sbagliato. Le fonti affermano con sicurezza che risalga al IX secolo, ma io credo che sia stato circa quattro anni fa. Non ricordo quando l’ho visto per la prima volta, ricordo solo la prima volta che scrissi di lui: era gennaio, mese invernale, e il suo manto era più bianco del bianco.

Da quel dì tante volte l’ho visto passare, ma non sono mai riuscita ad avvicinarlo, né a capire da dove arrivasse e dove andasse poi a finire. Lo ammiravo, avevo una rispettosa venerazione per lui. Qualunque cosa stessi facendo, appena lo scorgevo – una macchia bianca sullo sfondo – mi interrompevo per vederlo e non mi allontanavo dalla finestra fino a che non era lui a perdersi sull’orizzonte.
Il giorno seguente ritornava e io ero di nuovo lì. Poi un giorno scompariva, così: all’improvviso; e non si faceva vedere per mesi. Chissà se andava a caccia di topi… pare che fosse infallibile, così racconta il suo padrone, o almeno colui che si vanta di esserlo, ma per me un padrone non ce l’ha, non è possibile: lui è libero.

Pangur Bán, “più bianco del bianco”. Leggendario gatto bianchissimo che ho ritrovato a mille chilometri dal mio giardino, tra le pagine di un libro: anche questo è l’Irlanda.
Al largo della Scozia, sull’isola di Iona, o a Kells, nella contea di Meath, un gruppo di monaci lavorava notte e giorno alla trascrizione dei Vangeli, in una lingua ancora oggi ritenuta oscura: il latino. Così nacque il testo miniato più ammirato dell’epoca o, se non in quella, almeno nella nostra: The Book of Kells. Ma non è nel libro di Kells che si aggira il gatto bianco…

Book_of_Kells_34r_-_Katzen_und_Maeuse

“Book of Kells”, folio 34r (Old Library, Trinity College, Dublin)

Una notte – una notte mitica, forse di primavera – mi alzai per bere, e andando verso la cucina nel buio scorsi la macchia bianca che si muoveva: era Pangur, che usciva lesto dalla finestra dopo avere dormicchiato chissà per quanto tempo sul mio divano. Ero incredula. E incantata…
Ci furono altre notti così, quando iniziai a svegliarmi inconsciamente alla stessa ora per vederlo dormire. Ma forse i suoi poteri lo avvertivano o lui avvertiva l’impercettibile levarsi delle mie palpebre e facevo giusto in tempo a scorgerlo mentre se la filava con eleganza dalla finestra semiaperta. Pangur Bán.
Ebbi per un po’ l’illusione di poterlo tenere con me e i miei gatti, che stranamente sembravano accettarlo e Amarilli per me era anche un po’ innamorata… anche questo poteva essere solo merito dei poteri incredibili di Pangur.

Ma poi la natura prevalse e il territorio divenne troppo stretto, inospitale per l’ultimo arrivato. Così forse tornò dal suo padrone, di cui poco si conosce: molti dicono che viva in Austria, ma in Irlanda voci autorevoli confermano che stia in Svizzera, nel monastero di San Gallo, altri che sia il gatto di una misteriosa bambina. C’è infine chi sostiene si tratti di un certo Sedulius Scottus, ma io ci credo poco…

E infatti continuavo ad aspettarlo e ogni volta che lui tornava mi avvicinavo un po’ di più e da vicino mi accorsi che era molto magro, emaciato e il suo biancore si spegneva. Gli occhi però erano sempre vivi, brillanti, di un verde chiarissimo, un verde d’acqua.

PangurDaVicino

La poesia che parla di lui, forse la più antica poesia dedicata a un gatto che si conservi, è scritta sui margini di un remoto testo di scrittura, una sorta di quaderno scolastico usato da un giovane monaco irlandese per esercitarsi e che conteneva un po’ di tutto: inni, carte astronomiche e tavole matematiche, poesie.

TestoOriginalePangur

“Reichenau Primer”: in basso a sinistra la poesia di Pangur Ban

Il libro è conservato in una abbazia benedettina, in Carinzia, ma è stato scritto in un altro monastero, su un’isola lacustre. Chissà perché i monaci irlandesi sceglievano sempre le isole, ovunque andassero…

Da un po’ di tempo Pangur non si vede. Ogni volta che scorgo una macchia bianca sullo sfondo corro a guardare, ma non sono mai sicura che sia lui. Il gatto bianco a volte sono due. Un altro gatto – o forse una gatta – di colore bianchissimo abita da queste parti e quando c’era Pangur li distinguevo, sempre. Ora invece non sono più così sicura e attendo il momento che si avvicini un po’ di più per vedere quel colorino acqua nei suoi occhi.

GattoBianco1

Anche stamattina qualcosa di bianco si muoveva sullo sfondo e se non era Pangur vorrei almeno chiedergli, perchè lui – ma per me è una lei – lo sa, dove sia il gatto della leggenda, se nascosto nei dintorni o accucciato sul margine di un libro…

…dedicato a tutti i gatti…

 

Post scriptum: per questa storia devo molto al post di una ragazza americana, che potete leggere qui.

L’Anno del Gatto

Non so cosa dica l’oroscopo cinese in proposito e nemmeno lo andrò a cercare, perché in ogni caso per me il 2015 è stato l’anno del gatto, anzi: della gatta.

È passato quasi un anno da quando si presentò qui, una sera: bastardino multicolore affamato e poi cacciato da un gatto più grosso e più di mondo di lui. A distanza di un paio di mesi decise di riprovare e la seconda volta andò meglio.

Dall’uso del maschile avrete capito che all’inizio pensavo fosse un maschio, non so perché: mi dava quest’idea. Poi delle amiche gattare e più esperte di me mi hanno spiegato che i gatti tricolore di solito sono femmine e anche in questo caso la natura non si è smentita. Da dove venisse non lo sapevamo: magra e spelacchiata era una trovatella di sicuro; e così ci siamo anche permessi di battezzarla ufficialmente ed è “nata” Fillide. Ma a distanza di poco tempo abbiamo scoperto che la nostra Filli era la gatta dei vicini, i quali tuttavia non sembravano occuparsene. Come fare a non darle da mangiare? Aveva fame, era evidente! Come era evidente che era incinta. E infatti, per un po’ di tempo, sparì. Giusto il tempo di allattare e poi svezzare l’unico gattino superstite della sua cucciolata, perché presto cominciò a rifarsi viva, a cercare da mangiare. A cercare noi.

Di nuovo per strada e di nuovo incinta. Un’altra volta. Questa volta però, complice l’estate che porta i padroni al mare, Filli ha partorito qui e ci ha regalato una cucciolata ricca, di cinque gattini. L’ha trovata mia suocera, due giorni prima che anche noi tornassimo dalle vacanze. Già incaricata di sfamarla in nostra assenza, l’ha messa in una bella cesta grande e confortevole e l’ha sistemata sul balcone. Al ritorno ci ha accolti venendoci incontro e lasciandoci un bel regalino, anch’esso di sua produzione, in mezzo al vialetto; ma tant’è… oramai Filli poteva permettersi qualunque cosa con quei cinque “rattini” miagolanti! Subito li abbiamo battezzati, ché dare i nomi alle cose e agli animali ai bambini piace un sacco… ed ecco nella cesta Farabundo, Spiridione e Rinaldo i tre maschi; Amarilli e Zucchina le due femmine.

Gattini1

Filli e i suoi cinque gattini (agosto 2015).

Ma Filli è una gatta piccola, minuta. Che non ce la facesse ad allattarli tutti sembrava scontato e noi ce lo auguravamo anche che qualcuno passasse a miglior vita, perché temevamo per lei. E invece… e invece ce l’hanno fatta tutti. Lei compresa. Anche noi siamo stati bravi, però: a darle da mangiare di continuo, a creare un ambiente sicuro e tranquillo, a difenderla da tutti i randagi e i semirandagi che giravano da queste parti.

Oggi i gattini hanno tutti una nuova sistemazione e degli umani che si occupano di loro. Qualcuno ha cambiato solo casa, come Farabundo e Zucchina, piazzati a nipoti e cugini; qualcun altro ha cambiato anche nome e Rinaldo è diventato Ettore, compagno di giochi di una tenera chihuahua (che tra poco dovrà guardarsi dal diventare il suo pasto…); Spiro e Amarilli sono invece rimasti qui, con noi e con la mamma, che abbiamo fatto sterilizzare. E i vicini? – vi domanderete. Beh, ce lo domandiamo anche noi. Pare non si siano accorti di nulla, o forse hanno finto di non accorgersi, e così ora Filli vive qui. Dorme sul balcone con i gattini, mangia da noi e domina il suo territorio.

Dai tempi del mio pulcino (buon anima) sono cambiate molte cose. Filli ha portato nuovo amore e, almeno a me, ha insegnato tanto. Mi ha insegnato quanto sia bello prendersi cura di un animale, di una creatura che parla un altro linguaggio; quanto sia bello essere generosi, voler bene in modo gratuito. Ho così imparato che una mamma il cibo lo lascia ai cuccioli, sempre; e che per un animale andare dal veterinario è un po’ come per noi andare dal dentista. Ho imparato a fare colazione con sottofondo aromatico di pesce, a non farmi impietosire dagli occhioni imploranti che chiedono altro cibo, a interpretare come regalo la comparsa di imprecisati volatili morti sullo zerbino davanti casa. Ho imparato che la distanza minima tra due punti non è una retta, ma la sinusoide, oltre che a migliorare il mio tempo di apnea per sostenere l’odore di cacca e – peggio – dell’Amuchina.

E questa sera – qualcuno penserà che sono andata definitivamente di testa, ma che importa! – io e il mio compagno festeggeremo il nuovo anno con lei e i gattini, cercando di proteggerli dal frastuono dei botti, che, anche in pieno Nord industrializzato e moderno, trasformano il quartiere in una sorta di trincea. Con il Comune abbiamo lanciato una campagna di sensibilizzazione ad un uso responsabile dei fuochi d’artificio, nel rispetto delle norme di sicurezza e per la tutela dei più deboli e sprovveduti, come bambini ed animali. Chi vuole aderire può farlo attraverso i social network, scattando una foto ai suoi animali domestici e “postandola” con l’ashtag #LoroHannoPaura. E così sono diventata anch’io una di quelli che mettono i gattini sul blog…

Questo slideshow richiede JavaScript.

 

Buon anno a tutti, di qualunque etnia, o razza, siate.

Randagi

Nel mio giardino da un po’ girano tre gatti. Non sembrano in buoni rapporti tra loro; girano più che altro da soli e quando si ritrovano insieme si squadrano a distanza, possibilmente in cagnesco.

Gatti randagi. Uno nero, uno bianco e il solito bastardino multicolore. Questo l’altra sera è comparso all’improvviso sul balcone della cucina, ora di cena. Mi sono avvicinata piano, ché sapevo che era ritroso; gli ho mostrato dal vetro l’ottimo prosciutto del mio salumiere, ma appena ho aperto la porta-finestra è fuggito. Lasciato il prosciutto per terra, me ne sono andata anch’io, a poltrire sul divano. Poco dopo sono tornata in cucina, a controllare, ma al posto del bastardino ho trovato il gatto nero, che mi ha guardata, non mi ha nemmeno salutata ed è andato avanti a mangiare il suo prosciutto. Che poi era il mio. Gatti randagi.

Stamattina sono di nuovo qua, tutti e tre, sistemati ai vertici immaginari di una figura geometrica ignota ai più: due per terra ed uno in cima alla tettoia, rapporti angolari calcolati con felina precisione per tenersi alla giusta distanza l’uno dall’altro. Farei una foto, ma non si lasciano avvicinare, solidali solo in questo. Gatti randagi.

Li guardo da dietro la finestra, senza far rumore. Li studio per cercare di carpire i loro segreti di gattesca sopravvivenza, i gesti di felina sapienza. Troveranno da ripararsi e da mangiare; da dormire e da farsi coccolare. Gatti randagi. Prenderanno solo il meglio.

Guardinghi e allo stesso tempo incuranti, pratici ma anche fantasiosi. Vagano senza meta e senza dimora. A tratti ricordano me quando sapevo ancora essere randagia…