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Gli eventi a Santa Caterina si succedono serrati. In giornata il battesimo; poi la notifica dei nuovi nati al Comune ed infine, entro pochi giorni, il passaggio agli Esposti.
Verso sera serventi e “comarine” si avviano alla stanza dei neonati, per far da madrine. Sono tutte giovani esposte, figlie della Pia Casa, come si legge sul registro dei battesimi accanto al nome. Compiuti i quindici anni sono state riportate al brefotrofio dagli “allevatori”, che non avevano più il dovere, o talvolta la possibilità, di tenerle. Entrare alla “Regia Scuola di Ostetricia” per queste ragazze rappresenta un’occasione, una delle poche che una giovane orfana possa incontrare a Milano a fine Ottocento. Tra queste c’è anche Maria.
I bambini nati nel comparto il giorno 12 sono tre: tre situazioni e tre sorti del tutto diverse. Come sempre sono i documenti, custoditi gelosamente per oltre un secolo dall’Archivio Storico Diocesano, a consentirmi di ricostruirle.
‒ Ce n’è di legittimi? ‒ chiede don Carlo alla levatrice.
‒ Una.
La prima a ricevere il battesimo è Maria Rosa, figlia legittima di una coppia sposata, che ha chiesto il ricovero a S. Caterina non potendo pagare né balia, né levatrice. La madre resterà a fare da nutrice per qualche tempo, in cambio dell’assistenza ricevuta, e poi finalmente potrà tornare a casa, nel quartiere di San Vittore, con il marito e la bambina.
Don Carlo procede spedito, sembra abbia fretta: al comparto il rito del battesimo si riduce alla formula e ad una rapidissima unzione con l’aspersorio. Dopo il segno della croce è già il turno del secondo neonato. La madre, illegittima numero 269, chiede che gli venga messo il nome di Angelo. Forse vuole lasciare un segno, un indizio della paternità. Chissà se immagina, o sogna, che un giorno il padre lo riconoscerà come suo. Sul registro, alla voce “cognome e nome del padre”, don Carlo trascrive Ignoto; ma le annotazioni aggiunte a margine mi daranno ragione, restituendo un’identità ad entrambi i genitori.
Quando è il momento Maria si avvicina all’ultima creatura, la bambina nata dalla ricoverata illegittima numero 292. Sorride, Maria; Maria che non si abitua mai a questo momento. Prende la piccola tra le braccia e la stringe a sé, con un gesto di delicatezza e pietà che forse un’altra giovane donna ha avuto verso di lei il giorno che è nata. Vorrei sapere come è fatta, conoscere che pensieri nasconde, quale animo custodisca la ragazza che per pochi istanti ha tenuto tra le braccia la mia bisnonna. Ma da qui, da dove osservo di nascosto una scena che, studiando questa storia, ho tante volte immaginato, non riesco a vedere nemmeno la madre, non so se sia presente oppure no. So solo che la bambina non ha ancora un nome e forse senza nome viene battezzata. Come prescrive la legge, sarà l’ufficiale dello Stato Civile a sceglierlo.
Dopo il 1825 la consuetudine di dare a tutti i figli dell’Ospedale Maggiore il cognome Colombo, a richiamare la colomba simbolo dell’ospedale, è caduta in disuso e le nuove norme richiedono un cognome inventato, che abbia la stessa iniziale del nome. Non è difficile immaginare che in un’epoca in cui essere “trovatelli” non era affatto raro, nome e cognome inizianti con la stessa lettera dell’alfabeto fossero un segno di riconoscimento e talvolta un marchio incancellabile. In alcuni comuni, di piccole dimensioni, veniva usata la stessa lettera per tutto l’anno, o per tutto il mese. Ma nelle grandi città come Milano, l’elevata quantità dei nati illegittimi richiedeva di cambiare continuamente, ogni giorno, oltre che un grande esercizio di fantasia. Talvolta l’ufficiale delegato apriva il calendario e prendeva il nome del santo del giorno; altre volte era l’umore a decidere e ad imporre un cognome di cui il possessore si sarebbe vergognato per tutta la vita. Tuttavia molto spesso non è possibile ricostruire le ragioni di una scelta dettata, con molte probabilità, dal caso o dal momento.
Quando vede arrivare il signor Vignali del brefotrofio, l’ufficiale dello Stato Civile mette da parte le pratiche su cui sta lavorando e con un gesto della mano gli fa cenno di venire avanti. Il signor Vignali già lo sa, è abituato: da anni, ogni tre o quattro giorni, si presenta qui con il registro delle nascite sotto braccio. Un breve scambio di battute, qualche osservazione sull’inverno alle porte e si procede. L’ufficiale si augura sempre che i nuovi nati abbiano almeno il nome, così da dover inventare solo il cognome, ricalcando e leggermente modificando l’ultimo assegnato con una certa iniziale.
‒ Per una volta tant te se stà fortunaa, tè vist? ‒ commenta il signor Vignali.
I bambini nati o lasciati al brefotrofio tra il 12 e il 13 novembre hanno quasi tutti un nome, tranne due. Per questi due ci sarà da pensare…
‒ Che dì a l’è incoeu? ‒ chiede l’ufficiale.
‒ El tredes, ‒ risponde pronto il signor Vignali che si aspettava la domanda.
‒ La “o”… la “o” a l’è dificil!
‒ Ciappa el calendari…
‒ Ma no!
‒ Ciappa el calendari, damm atrà.
L’ufficiale si alza, stacca il calendario dal muro e si risiede. Legge il nome in corrispondenza del giorno… e ride! Ironia della sorte il santo di oggi ha il nome che inizia per “o”: Omobono, patrono di Cremona. Sistemato il piccolo Omobono, viene il turno dell’altra creatura senza nome.
‒ La tosetta a l’è nassuda in ier? ‒ chiede l’ufficiale.
‒ In ier, ‒ conferma il Vignali.
‒ In ier a l’era ul dodes… a pödi ciammala Natalina, come la mè mamma.
‒ E da cognomm?
Per il cognome l’ufficiale non ha niente di pronto e così prende a sfogliare il registro all’indietro. Ci vuole un po’ di pazienza e il signor Vignali, che lo sa, si mette comodo sulla sedia. Dopo una manciata di pagine l’ufficiale trova quello che cercava:
‒ A l’ultim cont la “n” a ghem metuu Nascendi… questa la ciammi Nascondi.
E così è deciso: la mia bisnonna si chiamerà Natalina Nascondi.
A lungo ho pensato che qualcuno avesse voluto nascondere la sorte della bambina dentro il nome. Ma in fondo cos’ha di diverso la sorte di una “trovatella” da quella delle altre migliaia che il secolo diciannovesimo ha partorito a Milano? Oggi so che è stato il caso a scegliere. E ha scelto bene: un nome parlante, un nome trasparente… Il nome giusto per raccontare questa storia: la storia di una bambina, figlia della ruota dei nascosti…
Tre giorni dopo la nascita, sbrigata tutta la burocrazia necessaria, Natalina è pronta per il passaggio agli Esposti. Non posso sapere se in questi tre giorni ci sia stato un momento, un augurio, un bacio con cui la madre naturale abbia voluto salutare per sempre la sua bambina, ma voglio pensare di sì. E voglio pensare che sia accaduto di nascosto, all’alba, quando le altre degenti ancora dormono e nessuno può sentire…
Sono le nove e mezzo del mattino e la levatrice di turno, la signora Beatrice, si presenta all’ufficio di consegna dell’Ospizio con l’infante in braccio. I bambini nati nel comparto vengono censiti in una sezione apposita del registro, prestampata per inserire i dati della levatrice e della ricoverata. Come per nascita e battesimo non c’è niente di celebrativo, di solenne. Tutto si riduce all’assegnazione di un numero: a metà novembre la quota è arrivata a 1343. Questo numero accompagnerà Natalina per tutta la vita. Verrà scritto sul suo libretto di scorta, da consegnare alla balia al momento dell’affido, ed inciso su una medaglietta di riconoscimento. Anche Natalina, come tutti i trovatelli, dovrà poter essere identificata in qualunque momento e così, una volta entrata all’Ospizio, viene subito munita del suo “bulino”, inamovibile, da tenere al collo fino all’abdicazione definitiva dal brefotrofio, al compimento del quindicesimo anno di età. Su un lato della medaglia sono riportati il numero di riconoscimento e l’anno di nascita, sull’altro lato la legenda “Brefotrofio di Milano”. Per la verità molte balie evitavano di seguire questa pratica, ritenendola infamante per la creatura, la quale, sebbene non fosse figlia loro e fosse stata cercata come occasione di guadagno, cresceva nella loro casa ed aveva diritto ad un po’ di dignità. Chissà se è stato così anche per la mia bisnonna…
Finita la trafila dell’accettazione, ha inizio quella medica. Nel giro di due giorni Natalina passa tra le braccia di serventi, balie, medici, semplici impiegati; viene visitata, vaccinata ed infine assegnata ad una nutrice: la numero 27. Anche questi eventi vengono prontamente registrati, sul “Bollettone di primitivo ingresso”. Nonostante una storia fatta di numeri e dati e tanta miseria, Natalina è una bambina fortunata, perché è sana: il giorno 16, finite tutte le visite, il medico dell’Ospizio, con una firma, lascia l’infante disponibile. Questa bambina di pochissimi giorni non può saperlo, ma tra una settimana soltanto troverà finalmente una casa ed una famiglia (continua…).