Caro Faber

Caro Faber,
ti ho incontrato tardi nella mia vita. Ti ha portato l’università, insieme ad altri cantautori che prima semplicemente ignoravo. Però ricordo il giorno della tua morte, la notizia al telegiornale, come qualcosa che ti colpisce senza una ragione. Conoscevo diverse tue canzoni per averle sentite, mai ascoltate. La prima volta che ti ascoltai non eri nemmeno tu a cantare, ma un altro che ti conosceva e amava da molto. Tuttavia io sentii solo te nel cuore impazzito del malato di cuore e anche il mio cuore stordì e ora no, non ricordo se fu troppo sgomento o troppo felice…

Cominciai a cercarti, e fu facile in verità trovarti dappertutto: nella terra di Liguria che già era mia e con te la scoprivo più ricca, di Mediterraneo e di poesia…

Nella storia triste di quella ragazzina di Brescia colpevole di bellezza, che come le più belle cose visse solo un giorno come le rose… Non ho mai sopportato l’insulto alle donne, il solo a non avere un corrispettivo maschile; solo tu riuscivi a dirlo con rispetto, a non farlo essere un insulto…

Ti ho trovato nel cristianesimo che avevo abbandonato, ma che tu hai riportato con il suo vero messaggio di pietà che non cede al rancore:

Nella delicatezza di un gesto: i vecchi quando accarezzano hanno il timore di far troppo forte… Nell’umanità di Maria, di cui porto il nome dietro al mio: gioia e dolore hanno il confine incerto nella stagione che illumina il viso…

Nella libertà, nella lotta, nella giustizia:

Nella poesia che amo, dove son merci ed uomini il detrito di un gran porto di mare, e io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà. E soprattutto ti ho trovato in tutte le anime salve in volo per il mondo:

Grazie, Faber…

Christmas song

Tantissimi auguri di buon Natale
agli amici del blog
e a chiunque passerà per caso da queste parti…

Sta piovendo sulle luci della strada, 
accendono i lampioni è tempo di Natale
e tu… sei qui con me: 
i tuoi vestitini allegri
sono addosso sotto i miei.

Gioco col cappello del vecchio
mentre i soldi cadon dentro; 
sono un dolce vagabondo
che ha lasciato il suo tesoro
e tu… sei qui con me: 
ti ho nascosta nel giaccone
per non farti prender freddo.

Sciabadabadaa…

I ragazzi stanno urlando
ed il flipper tintinnando; 
sono solo qui a guardarti
in uno spruzzo di ricordi
e tu… sei qui con me: 
faccio un brindisi per noi
a quando ti rincontrerò…

Sciabadabadaa…

 

 

Dell’Amore

Ai tempi del liceo la canzone che più di tutte le altre rappresentava ciò che doveva essere l’amore, era questa di Luca Carboni:

…e questi versi in particolare:

Voglio entrare nella tua vita,
dimmi a cosa stai pensando.
Vedi com’è bella la vita
anche solo per un momento
(L’amore che cos’è, 1992)

…canzone legata al primo amore, che ancora oggi, quando l’ascolto, è capace di regalare epifanie; e rivedo la ragazzina di quattordici anni, nella piazza di Cavalese, che guarda le vetrine della “Bottega di Veronika”, attendendo la sera…

Poi sono arrivati gli anni dell’università e la musica è cambiata. L’amore è diventato la via d’uscita, d’evasione, un biglietto del treno per due, una stanza doppia senza letti da aggiungere… Ricordo di avere invidiato un’amica che aveva passato il sabato sera a casa con il suo ragazzo a suonare canzoni con la chitarra. L’amore era allora lo spiraglio attraverso il quale fuggire dal mondo, inadeguato ai nostri sogni di ventenni, con l’albatro di Baudelaire e le canzoni di Battisti:

E infine è arrivato il mio compagno e insieme abbiamo iniziato a camminare per le strade del mondo, senza più ignorarlo. Perché a fare l’amore non ci riesci quando sai che in Palestina hanno ricominciato a sparare… E con lui ho imparato che per condividere non si può rimanere da soli, chiusi in un altrove solo nostro.

Buon San Valentino a tutti

“Fare insieme buone azioni è l’unico modo per amarsi” (I. Calvino, Il visconte dimezzato, 1951).

La musica ai miei tempi

La musica ai miei tempi non usciva da uno schermo. Era scritta sopra un nastro, che a volte si inceppava, aggrovigliava e prima che fosse troppo tardi dovevi agire con cautela, con l’aiuto di una Bic. La musica ai miei tempi era annunciata da un rumore… il leggero e morbido graffio della puntina di diamante, la cadenza goffa e lenta del nastro che si avvia. La poesia ha iniziato a perdersi con l’arrivo dei CD.

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La musica ai miei tempi si comprava. Qualche volta, mica sempre, ché dischi e cassette costavano e allora ci si divedeva: tu compri questo, io quell’altro e poi ce li registriamo. Io il registratore bicassette all’inizio non l’avevo e con la bicicletta andavo a casa delle amiche. La musica ai miei tempi si doveva guadagnare. Coi risparmi delle mance, con le conoscenze giuste, con i pomeriggi infiniti alla radio e il dito pronto sul tasto “Rec”: prima o poi la canzone amata arrivava e tu dovevi esserci, decisa a schiacciare in quell’esatto istante. La musica ai miei tempi si aspettava…

La musica ai miei tempi seguiva il ritmo lento della mano, che con pazienza e fatica trascriveva le canzoni sul diario, o su foglietti sparsi da custodire gelosamente. E gli ascolti ripetuti per capire cosa dicessero! Non solo gli stranieri, anche gli italiani che si mangiavano le parole. Si restava settimane o mesi interi con dubbi irrisolti, e le dispute infinite a riempire le serate con gli amici…

La musica ai miei tempi non era troppa, debordante. Non c’erano motori di ricerca e canali dove digitare un titolo e prima ancora che avessi finito la canzone era iniziata. La musica non era pronta al nostro uso e consumo acritico. Era forse più sincera, era quella che avevamo scelto, che ci somigliava. La musica era anche nostalgia.

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La musica ai miei tempi era appartenenza. A un gruppo, a una fede, a un sogno di rock da cui non ti potevi risvegliare. Io quelli che un giorno si sono svegliati non li capisco. La famiglia, il lavoro e tutto il resto non valgono il risveglio, i dischi in cantina o addirittura venduti.

La musica era la sola compagna che avevamo, orfani delle cose che ci sono oggi e delle idee di chi ci aveva preceduti…

Quando bastava una canzone

Dal mio diario, venerdì 2 maggio 2014

Dove sono finiti i tempi in cui bastava una canzone?

Quando non dormire la notte non era poi un problema perché al mattino dovevi solo andare a scuola? Quando ci bastava stare chiuse in camera di qualcuna o sui gradini all’oratorio a parlare per ore solo di uno sguardo non ricambiato? Quando tutto quello che ci veniva richiesto si esauriva, in fondo, nell’imparare qualche capitolo di storia? Quando sono finiti quei tempi spensierati?

Provo a tracciare una linea che sia netta tra un certo periodo e adesso. Superfluo dire che non ci riesco. Eppure c’è stato un giorno in cui è cambiato tutto. Un giorno in cui, quando le cose non sono andate per il verso giusto, non ho pensato di cercare una cassetta, di accendere lo stereo. Un giorno in cui, se l’avessi fatto, non sarebbe servito a niente.

Andavo al liceo e l’unica preoccupazione era di sentire il mio nome tra quello degli interrogati. Camminavo a passo spedito verso la scuola pensando che, come al solito, non sapevo niente, che se mi avessero beccata quel giorno sarebbe andata proprio male, avrei fatto una figura pessima, sarebbe stato l’inizio della fine. Poi non mi beccavano e il giorno seguente ripercorrevo la stessa strada ripensando esattamente le stesse cose. Poi arrivava il pomeriggio, e la mattina e le interrogazioni sembravano lontanissime e la cosa peggiore che sarebbe potuta capitarmi era che il tipo che mi piaceva non mi guardasse. E quando capitava ed era veramente catastrofico, tipo che dentro di me si apriva una voragine di vuoto nerissimo e profondissimo, bastava una canzone ed era di nuovo tutto a posto. Qual era quella canzone che andava bene in ogni momento, che funzionava sempre? Quella canzone che oggi nemmeno ricordo…

(lo ritrovo oggi sul mio diario e mi rendo conto di quello che ho scritto, oltre che di quello che ascoltavo un tempo per tirarmi su…)

Le Pleiadi: canzoni e letteratura 1.

In un’atmosfera rarefatta, sospesa nel tempo e nello spazio, lentamente si fa strada una musica liquida, che oscilla come le onde del mare. Una musica notturna, lunare. Una musica che è quasi silenzio, fatta di poche, pochissime note di pianoforte che ritornano continuamente. Su quelle note, a poco a poco, silenziosi movimenti di archi, arpa e marimba costruiscono la scenografia.

Tramontata con le Pleiadi
è la luna. È mezzanotte,
il tempo passa.
Io giaccio sola.

Così il cielo e il silenzio della notte accompagnano la malinconica attesa di una Penelope che in fondo è tutte noi. È infatti la donna che dà forma all’attesa; la donna che è sedentaria, mentre l’uomo vagabondo.

Partendo dai versi di una brevissima poesia di Saffo, Vinicio lavora su due orizzonti: quello di cielo e mare che accompagna i naviganti, e l’orizzonte dell’attesa cui le donne sono state condannate.

Sotto il cielo, dove «tutto si muove, ma niente si muove davvero», avanzano gli uomini e aspettano le donne, mentre le stelle – Andromeda, Orione, Urano, fino alle Pleiadi – osservano mute i destini umani. Sono destini di solitudine e nostalgia. La solitudine femminile si costruisce nell’attesa, che costringe nell’immobilità, del tempo e dei gesti. Che insegna ad amare la stessa nostalgia. L’attesa è un incantesimo, o un inganno, l’inganno del tempo che scorre e deforma i ricordi, portando finalmente alla conoscenza: «nell’attesa mi conosci così bene», dice lui.

La solitudine dell’uomo avanza nella notte, quando «s’alza in cielo… la Croce del Sud». Anche il viaggio e la lontananza portano conoscenza: «nell’attesa mi conosci così bene», sussurra anche lei.

L’inganno si svelerà più tardi, nel momento dell’incontro, dove il riconoscimento verrà ad entrambi negato. Ma entrambi ne sono già consapevoli ed è forse per questo che l’attesa diventa dolce e preferibile al ritorno.

Due versi sibillini sul finale (forse Omero?) chiudono la storia, mentre la musica lentamente si spegne come la notte, si scioglie nella stessa atmosfera di sospensione da cui era nata…

Questa canzone, in cui musica e letteratura si incontrano, si muovono insieme e poi si fondono, è solo un frammento di Marinai, profeti e balene, lavoro “ciclopico” del cantautore Vinicio Capossela. Tutto l’album è infatti un grande affresco di storie di mare, in cui Melville e Omero hanno suggerito scenari e personaggi. Melville è protagonista del primo disco, Omero e la tradizione dei nostoi nel secondo. Vinicio racconta come sa fare, costruendo la scena e l’atmosfera insieme alla storia. Nelle Pleiadi, accanto agli strumenti tradizionali, se ne aggiungono altri, anomali e suggestivi, come l’Ondes Martenot, nato nel 1928 per riprodurre il rumore del mare, i cui compositori vengono chiamati ondisti, e il gong delle nuvole, antico strumento della tradizione teatrale cinese.

Alla musica vera e propria si accompagna quella delle parole, di cui Vinicio si dimostra grande artigiano e maestro. Urano lontano, lento meccano del cielo: / tutto si muove, ma niente si muove davvero: tre parole in rima interna (due vicinissime, la terza di poco spostata) e l’assonanza “cielo-davvero” a chiudere. Intanto, insieme al ritmo lento e cadenzato, il suono liquido della lettera “l” e quello morbido della “n”, nelle parole “lento” e “lontano”, muovono le onde. Lo stesso effetto si ripete più avanti: …le figlie di Atlante, / brillanti ai naviganti / la via per tornare.

Contro il suono e il moto ondulatorio delle parole giocano i continui cambi di tempo e ritmo, che aumentano la sensazione di sospensione, di qualcosa che si desidera ma non arriva, che sembra avvicinarsi ma poi se ne va. E così anche la musica talvolta appare ferma, in attesa.

Pioggia e sole

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“Pioggia e sole cambiano la faccia alle persone”… che verso bellissimo. Quanto si può essere pieni dopo avere scritto un verso così? Un pensiero semplice, pulitissimo; ma denso, e carico di tutti i significati che ognuno riesce a leggergli dentro. Può bastare a riempire una vita? Chi lo sa…

Certe canzoni arrivano all’improvviso come pugni a risvegliarci o come carezze ad aggiustare il cuore.

Guidavo lungo le solite strade di paese, triste e persa di ritorno dal lavoro… quando dalla radio è sopraggiunta lei. Già la conoscevo, l’avevo qualche volta sentita, ma quel pomeriggio è stato il suo momento. Quello in cui una canzone ti parla, si rivolge a te, proprio a te, perché ne hai bisogno, perché ti riguarda. E ti aiuta a vedere meglio quello che hai.

Si aggiunge alle tue canzoni della vita, quelle che non scegli ma ti scelgono. Quelle che non risenti mille volte, ma conservi per i tuoi momenti. Forse non sono le più belle, esteticamente perfette. Ma sono state scritte per te. E allora diventano uniche, come i ricordi.