Non è facile entrare in un libro di John Fante senza essere uomini e soprattutto senza essersi ubriacati una sola volta nella vita. Sulla seconda tuttavia si può lavorare, sebbene essere quasi astemi non aiuti (ma il “quasi” gucciniano la dice lunga e Guccini è uno che di sbronze se ne intende…). Sulla prima invece c’è poco da fare, anche se la letteratura in qualche modo ci ha aiutate, la letteratura che è nata al maschile e sul maschile ha costruito i suoi modelli, quelli che poi hanno fatto scuola anche alle scrittrici e ci hanno insegnato a vedere il mondo con gli occhi degli uomini. Gli uomini invece questo vantaggio non l’avranno mai e l’unica possibilità di vedere il mondo dal nostro punto di vista è un dono, il dono che hanno gli scrittori.
Per entrare in un libro di John Fante può aiutare essere cresciute tra vecchi e balordi ubriaconi, sempre al bar a perder tempo e a giocare a carte. Ma in casa mia il vino era bandito, figuriamoci andare a cerarlo fuori! Forse mia zia, che non ha studiato, con John Fante potrebbe avere più confidenza di me, che ho studiato tanta letteratura ma da bambina all’osteria a recuperare il nonno ubriaco marcio non mi ci hanno mai mandata. Io il vino lo intravedevo in controluce solo a pranzo, nel bicchiere della nonna, che per questo ‒ lo confesso ‒ ho sempre guardato con un certo sospetto…
Ma anche a una persona come me leggere John Fante mette voglia di avercela una accolita così, come la confraternita dell’uva, una seconda sgangherata famiglia insieme alla quale sfuggire alla prima. E forse ce l’avevo anche da ragazza… o forse no, perché a parte quel sentire comune che ci teneva insieme e le partite a carte sui gradini della chiesa nel cuore della notte, eravamo troppo paranoiche per essere sincere, per sentirci a casa; troppo borghesi per essere spietate. Abitavamo un’altra crudeltà.
Insieme si giocava al “due” – alias la “briscola chiamata” – ed era un punto d’orgoglio, una cosa che le altre ragazze non facevano. Il primo dell’anno al pomeriggio eravamo ufficialmente invitate a casa di una di noi dal nonno e dallo zio, che per un’ora o due diventavano il Nonno e lo Zio per tutte. Giocavamo col morto, perché eravamo una di troppo e sul morto si rideva e si ironizzava senza pietà. Poi quella di troppo sono diventata io, o forse lo sono diventate tutte loro. Tranne il nonno e lo zio. Quando poi il nonno è diventato il morto, siamo ritornate insieme per un’ultima sera, a sproloquiare e ridere senza pietà anche al rosario, lì di fianco alla bara, allo Zio e al morto…
John Fante mi manca, la briscola chiamata invece è un ricordo d’infanzia anche per me, quando ci si sentiva grandi nel far giochi “da grandi” insieme ai grandi.
Io l’ho scoperto non molto tempo fa grazie al blog, trovando da più parti citazioni da “La confraternita dell’uva”. Veramente un autore notevole.
Buona settimana 🙂
Ho divorato “Chiedi alla polvere” qualche anno fa! ti lascia un senso dolceamaro in bocca.. però non mi sono spinta oltre.
Quello l’ha letto il mio compagno (in lingua ché lui è più bravo) ed è tra i miei prossimi 😉
Anch’io sono ferma lì, ma mi è piaciuto molto
Ricordi e suggestioni letterarie, davvero bello questo post che mescola in maniera sapiente vita e letteratura.
Anche a me manca John Fante, è da tanto che voglio scoprire questo autore. Un bacione cara!
E’ uscito da solo, un po’ di tempo fa. Poi è rimasto orfano di un finale, che finalmente è arrivato sempre per i fatti suoi. Io non ho fatto quasi nulla!
Buona settimana, cara 🙂
Grande Fante… Come ben sai, io apprezzo! 🙂
Lo so, lo so… sapevo che avresti apprezzato. E anche tu sei tra quelli che, con qualche citazione, mi hanno spinta alla sua conoscenza 🙂
Bene! Mi fa piacere… 🙂
Mmmmhmm… mi sa tanto che questo John Fante riuscirei ad apprezzarlo 🙂 riguardo alla briscola invece, non ho ricordi a tal proposito. Bellissimo questo articolo, divertente se vogliamo e scorrevole, ora però ti lascio che vado ad ascoltarmi Guccini. 🙂 Ti abbraccio.
Oh mamma! Che storie hai con vecchi e balordi ubriaconi?
🙂
Per qualche anno ho vissuto in un paesino in alta montagna stile Heidi e le caprette, i miei avevano un’osteria, uno di quei luoghi assurdi che rimangono nella memoria e lì, puoi capire. I vecchi del posto ci passavano le giornate e la sera i ragazzi che non avevano altri sfoghi. Non farmi dire i dettagli, spero tu possa capire da queste parole 🙂
Ora capisco… Bello, però, avere l’osteria 🙂