Le mie eroine

L’anno della tesi l’ho interamente passato con un gruppo di ragazze straordinarie. Tutte più giovani di me (o quasi) e tutte con un vissuto incredibile alle spalle.

Sono sempre stata affascinata dai movimenti sotterranei e reconditi dell’animo umano, dalle innumerevoli sfaccettature di uno sguardo come di una parola. Ho sempre cercato, fin da giovanissima, di leggere dentro le persone, di interpretarne i movimenti, le scelte, i gesti. Mi affascinava la possibilità di carpirne il segreto, come se ognuno di noi avesse un segreto da proteggere. In particolare ero attratta da tutte le manifestazioni del sentimento amoroso, dalla fenomenologia dell’amore. La scelta dell’argomento della tesi mi ha permesso – un po’ per caso – di dedicarmi a questi aspetti psicologici della natura umana e così mi sono ritrovata senza preavviso con un gruppo di giovani da indagare e seguire passo passo.

Erano diciotto ragazze, tra adolescenti e giovani donne, quasi tutte con esperienze amorose deludenti e fallimentari. Molte erano riconducibili al modello della relicta, della classica donna “sedotta e abbandonata” da un uomo più maturo, che, dopo avere beneficiato dei suoi favori, se ne andava a continuare la propria vita altrove. Altre portavano in dote storie uniche e drammatiche, per la scomparsa prematura dell’amato, per la situazione di sudditanza psicologica cui erano ridotte, per gli ostacoli posti dalla famiglia alla loro felicità. Non ho potuto purtroppo studiare i casi di tutte e nemmeno dedicarmi a quelle che mi attiravano di più. La difficoltà di recuperare le fonti delle loro storie mi ha imposto di approfondire la conoscenza solo di alcune di queste figure delicatissime e commoventi.

Avrei voluto passare più tempo con la giovanissima Fillide, figlia del vecchio re della Tracia, innamoratasi niente meno che di Demofoonte, figlio del valoroso Teseo. Il giovane, prima di partire per la patria, le promette – perfidus, come qualsiasi fedifrago, che tornerà. Dal giorno indicato per il ritorno Fillide si reca sulla spiaggia, in attesa, ma non vedendo l’amato arrivare si crede tradita, e si uccide. La sua lettera a Demofoonte è lo sfogo di un’indole ingenua e delicata, di una ragazzina delusa dal primo amore che non può sopportare il dolore del tradimento e della perdita dell’amato: «Ho creduto alle dolci parole, che non ti fanno certo difetto, ho creduto alla tua stirpe e ai tuoi grandi antenati, ho creduto alle lacrime: o forse s’impara a fingere anch’esse? anch’esse sanno gli artifici e sono pronte a sgorgare a comando? Ho creduto anche agli dei» [1] (trad. di G. Rosati).

Volentieri mi sarei dedicata alla bella Canace, che ha avuto la sfortuna di innamorarsi del fratello. Corrisposta e rimasta incinta, fu costretta dal padre al suicidio. La sua lettera a Macareo racconta il senso di colpa per quell’amore sbagliato e la violenza di un padre padrone capace di far uccidere in un giorno solo figlia e nipote.

Anche Laodamia ha avuto una storia tristissima ed un destino ancora più crudele. Il suo giovane sposo Protesilao, partito per la guerra di Troia il giorno delle nozze, fu il primo soldato greco a perdere la vita in quel conflitto sanguinoso che tutti abbiamo studiato sui banchi di scuola. La povera Laodamia, che tra paure e sogni presente la morte del marito, si isola in un mondo tutto suo. Fa costruire una statua in cera dell’amato e piange l’imminente fine del suo sposo e del suo amore: «…ho un’immagine in cera che mi rammenta il tuo volto: io le dico tenerezze, le parole che ti sono dovute ed essa riceve i miei abbracci. Quest’immagine, credimi, è più di quanto non sembri: aggiungi alla cera la voce e sarà Protesilao. Io la guardo e al petto la stringo come il mio vero marito…» [2].

Sono queste le protagoniste di tre delle ventuno “heroides”, le lettere di eroine composte da Ovidio in distici elegiaci dopo il 15 a.C. Con una profondità ed una sensibilità rare per un uomo dell’epoca antica, Ovidio dà la parola alle eroine della mitologia, a quelle donne che, per motivi giuridici e sociali, in Grecia non avevano diritto di parlare. In questo modo le storie del mito vengono riscritte da un punto di vista inedito, il punto di vista femminile, quello di chi la guerra di Troia l’ha vissuta nell’attesa del ritorno dell’amato, nell’angoscia di non sapere cosa stesse succedendo lontano da casa. Il punto di vista di chi – tradita ingannata abbandonata – si rivolge all’amato per l’ultima volta. Sono lettere che non attendono risposta, senza indirizzo a cui essere spedite. Sono le lettere che anche noi abbiamo scritto nel silenzio delle nostre stanze, sognando di parlare all’amato una volta per sempre e con sincerità.

Molte di queste donne nelle opere della tradizione epica e tragica da cui provengono non parlano mai, o quasi mai, come la giovanissima Briseide, la schiava di Achille che, venendo portata via da Agamennone per motivi di onore, genera quell’ira «che infiniti addusse lutti agli Achei». Nell’Iliade Briseide non parla, l’unica forma di espressione che il poeta le concede sono le lacrime versate sul cadavere dell’amico Patroclo. Ovidio restituisce a Briseide un animo e il diritto di dire la sua sul rapimento subito, sulla lontananza da Achille, di cui la scopriamo innamorata e – purtroppo – soggiogata psicologicamente.

Poche sono invece le protagoniste, come Penelope e Didone, nelle cui lettere tuttavia troviamo due donne diverse da quelle che l’epica ci ha consegnato. Didone, da personaggio tragico che maledice l’amante in fuga da lontano, si ritrova femmina che piange l’abbandono subito; Penelope, da scaltra moglie di Ulisse che ordisce l’inganno della tela, diventa la donna cui manca il marito nel letto: «Oh se allora, quando faceva vela verso Lacedemone, l’adultero fosse stato sommerso dalle onde infuriate! Io non avrei giaciuto, fredda, nel letto deserto e non avrei, nel mio abbandono, lamentato lo scorrere lento dei giorni, né, mentre cercavo di ingannare le lunghe ore notturne, la pendula tela avrebbe stancato le mie vedove mani» [3].

Queste sono alcune delle storie che Ovidio riscrive. Le altre si possono leggere, a duemila anni di distanza, nelle Heroides, il libro che oggi riprendo in mano e provo una inedita sensazione. È il libro della tesi. Il libro che per un anno mi ha tenuto compagnia insieme ai suoi delicati personaggi. Un libro che mi viene voglia di stringere, che sfoglio trovando i segni dello studio, le sottolineature, le parole e gli appunti segnati a margine. Le pagine sono ingiallite dal tempo, alcune vengono via e sto attenta a non lasciarle staccare, a non perderle. Le mie eroine me le ricordo tutte, una per una, e ritrovo Arianna e le altre relictae: Enone ed Ipsipile, “vittime” dimenticate di Paride e Giasone. Le grandi eroine tragiche, Fedra e Medea, e la dolce Ermione. La moglie tradita: Deianira; e la vittima di un padre violento: Ipermestra. Tra tutte si distingue un personaggio storico, che ha l’onore di trovarsi protagonista insieme alle eroine del mito: la poetessa Saffo. Il libro si chiude con le “epistole doppie”, composte dall’autore in un secondo momento, e sono le lettere in cui è l’uomo a scrivere all’amata e la donna a rispondere: Paride ad Elena, Ero a Leandro, Aconzio a Cidippe.

«Perché io possa godere realmente il bene che mi hai mandato a parole, vieni, o Leandro, tu stesso. È lungo per me ogni indugio che ritarda la nostra gioia. Perdona la mia confessione: il mio amore è impaziente. Bruciamo di uguale fiamma, ma non sono uguale a te nella forza: gli uomini suppongo che abbiano un carattere più forte. Come il corpo, anche l’anima è fragile nelle tenere fanciulle; aggiungi solo un breve ritardo ed io morirò» [4].

Rileggendo queste ed altre parole l’anno della tesi lo ricordo sempre con affetto; e mi manca quel periodo in cui mi svegliavo al mattino pensando alle mie eroine, al lavoro da portare avanti e a quello che quel giorno avrei potuto scrivere.

Tondo con "Donna con tavolette cerate e stilo (cosiddetta “Saffo”)", Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Affresco romano, 50 d.C. circa (Pompeii, VI, Insula Occidentalis).

Tondo con “Donna con tavolette cerate e stilo (cosiddetta “Saffo”)”, Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Affresco romano, 50 d.C. circa (Pompeii, VI, Insula Occidentalis).

[1] Credidimus blandis, quorum tibi copia, verbis; / credidimus generi nominibusque tuis; / credidimus lacrimis ‒ an et hae simulare docentur? / hae quoque habent artes, quaque iubentur, eunt? / dis quoque credidimus (Ovid., her. 2.49-53).

[2] quae referat vultus est mihi cera tuos: / illi blanditias, illi tibi debita verba / dicimus, amplexus accipit illa meos / Crede mihi, plus est, quam quod videatur, imago; / adde sonum cerae, Protesilaus erit. / Hanc specto teneoque sinu pro coniuge vero (Ovid., her. 13.152-157).

[3] O utinam tum, cum Lacedaemona classe petebat, / obrutus insanis esset adulter aquis! / non ego deserto iacuissem frigida lecto, / nec quererer tardos ire relicta dies; / nec mihi quaerenti spatiosam fallere noctem / lassaret viduas pendula tela manus (Ovid., her. 1.5-10).

[4] Quam mihi misisti verbis, Leandre, salutem / ut possim missam rebus habere, veni! / Longa mora est nobis omnis, quae gaudia differt. / Da veniam fassae; non patienter amo. / Urimur igne pari, sed sum tibi viribus impar: / fortius ingenium suspicor esse viris. / Ut corpus, teneris ita mens infirma puellis; / deficiam, parvi temporis adde moram (Ovid., her. 19.1-8).

15 thoughts on “Le mie eroine

  1. Al di là di come scrivi che sei bravissima secondo me, anch’io sono sempre stata affascinata da ciò che è dentro di noi/altri e ho sempre cercato di leggere l’animo umano. -Fatti un pò i cavoli tuoi- dirà qualcuno ma è più forte di me. Bellissimo questo tuo racconto. Devo dire che hai avuto davvero amiche molto particolari 😀 Difficili da dimenticare! Rimangono, non c’è nulla da fare. Buona domenica, un bacione.

    • All’inizio del liceo pensavo di iscrivermi a psicologia, poi in terza è arrivata la letteratura, che in fondo ha fatto un po’ la parte dello psicologo prima dell’arrivo di Freud. Qualcuno mi prenderà per matta, ma quelle eroine io le ricordo davvero come mie amiche.
      Un bacione a te 🙂

  2. Sono davvero splendide ragazze, io amo molto quel periodo storico e la mia libreria è ben fornita, se abitassimo vicine so per certo che ci scambiaremmo i libri.
    Tra il resto, non li presto volentieri ma a te li presterei, sono certa che sarebbero in buone mani 🙂
    Buona domenica cara!

  3. Per un istante ti avevo immaginata nei panni di infiltrata in un’Anonima per donne derelitte, a carpirne storie e segreti. Ma come al solito mi trai in inganno con il tuo bell’eloquio anche se in fondo non hai mentito, le donne della letteratura spesso son più vere dei loro simulacri in carne ed ossa.

  4. Che bella tesi, ne parli mai ai tuoi alunni? Credo che così si appassionerebbero alla letteratura, una letteratura che racconta storie ancora drammaticamente attuali. Perché non organizzi un seminario o un gruppo di lettura su questo argomento? Sono sicura che moltissime donne parteciperebbero. Verrei anch’io se la distanza non me lo impedisse.

    • Ogni tanto qualcosa lo tiro fuori e in effetti di solito attira. La tesi era dedicata al modo in cui Ovidio usa il mito, analizzando due opere: le “Heroides” e le “Metamorfosi”. Bellissima la tua idea, sai che quasi quasi ci provo a fare una proposta simile a qualche biblioteca? Poi ti ringrazio pubblicamente come ideatrice del progetto 😉
      Buona serata (o buon pomeriggio…).

  5. sai che davvero ho pensato che la tesi fosse in psicologia?? i tuoi soliti “trucchi”….!
    Di tutte quelle che hai citato, mi ricordo solo Briseide perché mi piaceva il nome (fai te…). Una domanda: non offrono una visione sempre succube e debole della donna? Ovidio mette in bocca parole un po’ maschiliste alla sua eroina che scrive a Leandro.. no? Dimmi pure che non ho capito niente, che ci sta anche eh…

    • Dipende, dall’eroina e da come Ovidio la vuole modificare rispetto alla tradizione. Le parole di Ero non le leggerei in quell’ottica maschilista, mi sembrerebbe di andare a cercare nel testo quello che non c’è, soprattutto attraverso la nostra ottica moderna. Poi il “maschilismo” nel mondo antico era normale, ma il fatto che Ovidio dia la parola alle donne è già indice di un modo di pensare più “avanti” di quello dei suoi contemporanei. A me piace il nome Fillide, invece 😉

      • Ah è già avanti…? oh cavoli! 😀
        comunque dovrei studiarmi meglio questa parte, non ho mai amato il latino…
        Briseide ricordo che si chiamava anche Criseide (??)

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